IL GRANDE
BISCOTTO
di
Livio D'Alessandro
Piange
amaro Antonio Cassano, ormai simbolo dell’Italia calcistica. E con
lui piangono milioni di tifosi, dinanzi a quel suo cambio
d’espressione improvviso quando gli uomini della panchina gli
comunicano che non sono bastate le sue prodezze.
Sarebbero servite infatti, e quanto, anche le magie delle tanto
acclamate stelle. Cadenti (Totti). Cadute (si spera per sempre:
Vieri e Del Piero). E invece hanno lasciato fare tutto a Cassano,
che in silenzio partiva dalla panchina chiedendosi senz’altro come
fosse possibile far giocare al posto della sua luce l’ombra di Del
Piero. Hanno lasciato fare tutto a lui; a lui che in silenzio
subentrava, che in silenzio segnava, che in silenzio usciva, che in
silenzio segnava ancora ma l’arbitro non vedeva e allora lui segnava
una terza volta. Mentre, nel frattempo, la stella numero uno
scaldava le tribune, la stella numero due saltava a vuoto pur
essendo più uomo di tutti e la stella numero tre muoveva a
compassione con quella fascia da capitano così fuori posto.
L’Italia batte la Bulgaria dunque, ma non è sufficiente. Gli azzurri
vincono 2-1, come dieci anni fa negli Stati Uniti. Anche allora la
Bulgaria segnò su rigore. Anche allora un italiano realizzò una
doppietta. Era un grande italiano. Era Roberto Baggio. Oggi Cassano,
e proprio contro i bulgari (scherzi del calcio), ne prende
definitivamente l’eredità in maglia azzurra realizzando anch’egli
due gol, solo il secondo dei quali però riconosciutogli. Un’eredità
pesante, pesantissima, quella del Divin Codino; Del Piero e Totti
non sono riusciti a sopportarla, ad esempio, ma il gioiello di Bari
sembra fatto di un’altra pasta. Solo il tempo ci fornirà smentite o
conferme, intanto si costruisca su di lui il futuro del nostro
calcio. In proiezione Mondiale 2006.
L’analisi
di questa serata azzurra nata nella pioggia e morta tra le lacrime
non può prescindere da Svezia-Danimarca, destinata a fare storia non
meno di Germania-Austria dell’82, Argentina-Peru del ’78,
Brasile-Norvegia del ‘98. Raramente partita fu pilotata in maniera
così evidente. Tutto il mondo si aspettava un 2-2 e 2-2 è stato,
senza troppi scrupoli; anzi: inizio ritardato di due minuti rispetto
a Italia–Bulgaria per poter avere eventualmente il tempo di
rimettere le cose a posto; un portiere, quello danese (tra i
migliori fin qui visti), che non ha bloccato un solo pallone per
l’intera partita. Si limitava a respinte brevi con palla nel mucchio
a centro area. Fin quando, all’89esimo minuto, non ha trovato
qualche avversario che l’ha buttata dentro; inoltre la successione
dei gol, esemplare per poter avere entrambe le squadre sempre in
pugno la qualificazione.
Lo scempio più grande comunque non è tanto il fatto in sé,
antisportivo ma in fondo comprensibile, quanto le accuse che svedesi
e danesi hanno lanciato per tutti e quattro i giorni precedenti il
match verso gli italiani che sollevavano qualche sospetto. Come se
il nostro fosse un popolo di truffatori (e sarà anche vero) e i
santi risiedono invece tutti là, tra l’Ikea e la Sirenetta (e questo
non è vero). Un risultato, quello di Oporto, che altera la disamina
della nostra eliminazione, ma solo lievemente; sarebbe patetico
aggrapparsi a quel 2-2 per spiegare e giustificare il nostro
prematuro ritorno a casa perché le basi di quel risultato le ha
gettate l’Italia stessa contro Danimarca e Svezia.
I motivi sono altri. Forse la sopravvalutazione di alcuni nostri
giocatori. O il loro scarso stato di forma. È ovvio e per nulla
sorprendente che se si affida il ruolo di leadership della squadra a
giocatori che hanno giocato un campionato mediocre o scarso (Vieri e
Del Piero), se si affida la maglia da titolare a gente che ha avuto
una stagione ridicola (Zanetti e Camoranesi), non ci si può
aspettare che questi improvvisamente si trasformino in fenomeni.
Per non parlare delle esclusioni eccellenti. Dalla lista dei
convocati (Baggio e Gilardino), dalla formazione iniziale titolare
(Cassano, Gattuso, Pirlo), dagli ultimi minuti contro la Svezia
(Cassano, Gattuso). Credo siano questi i motivi principali della
disfatta. Motivi tecnici.
Poi, certo, una Federazione vecchia, stantia, noiosa e annoiata;
gestita da uomini che non hanno mai giocato a calcio e che hanno
come unico obiettivo quello di scambiarsi le poltrone che contano.
Infine il clima di scarsa serenità imposto dai giocatori stessi a
questo mese di ritiro. La minaccia di silenzio stampa lanciata da
Cannavaro, l’elogio sperticato di Trapattoni a Totti e il
conseguente risentimento di Del Piero, le accuse di Fiore agli
oriundi sapendo che c’è un oriundo in squadra, le proteste di
Gattuso, lo sputo di Totti, la violenza verbale di Vieri nei
confronti dei giornalisti, e chi più ne ha più ne metta.
In conclusione non c’erano proprio i presupposti, forse, per vincere
questo Europeo. Del resto non è che ci fossimo qualificati
passeggiando. Ci siamo qualificati con l’acqua alla gola contro
squadre ridicole soltanto grazie all’exploit di Inzaghi realizzatore
di 6 gol nelle ultime tre partite del girone.
L’unico presupposto si chiamava Cassano. L’ingenuità pura del suo
giocare al calcio e le sue lacrime finali colme di sincerità sono
stati gli unici ricordi puliti di questo Europeo azzurro.
ITALIA - BULGARIA 2 - 1
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