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23/6/2004

IL GRANDE BISCOTTO

di Livio D'Alessandro

Antonio CassanoPiange amaro Antonio Cassano, ormai simbolo dell’Italia calcistica. E con lui piangono milioni di tifosi, dinanzi a quel suo cambio d’espressione improvviso quando gli uomini della panchina gli comunicano che non sono bastate le sue prodezze.
Sarebbero servite infatti, e quanto, anche le magie delle tanto acclamate stelle. Cadenti (Totti). Cadute (si spera per sempre: Vieri e Del Piero). E invece hanno lasciato fare tutto a Cassano, che in silenzio partiva dalla panchina chiedendosi senz’altro come fosse possibile far giocare al posto della sua luce l’ombra di Del Piero. Hanno lasciato fare tutto a lui; a lui che in silenzio subentrava, che in silenzio segnava, che in silenzio usciva, che in silenzio segnava ancora ma l’arbitro non vedeva e allora lui segnava una terza volta. Mentre, nel frattempo, la stella numero uno scaldava le tribune, la stella numero due saltava a vuoto pur essendo più uomo di tutti e la stella numero tre muoveva a compassione con quella fascia da capitano così fuori posto.
L’Italia batte la Bulgaria dunque, ma non è sufficiente. Gli azzurri vincono 2-1, come dieci anni fa negli Stati Uniti. Anche allora la Bulgaria segnò su rigore. Anche allora un italiano realizzò una doppietta. Era un grande italiano. Era Roberto Baggio. Oggi Cassano, e proprio contro i bulgari (scherzi del calcio), ne prende definitivamente l’eredità in maglia azzurra realizzando anch’egli due gol, solo il secondo dei quali però riconosciutogli. Un’eredità pesante, pesantissima, quella del Divin Codino; Del Piero e Totti non sono riusciti a sopportarla, ad esempio, ma il gioiello di Bari sembra fatto di un’altra pasta. Solo il tempo ci fornirà smentite o conferme, intanto si costruisca su di lui il futuro del nostro calcio. In proiezione Mondiale 2006.
Gli sfottò scandinaviL’analisi di questa serata azzurra nata nella pioggia e morta tra le lacrime non può prescindere da Svezia-Danimarca, destinata a fare storia non meno di Germania-Austria dell’82, Argentina-Peru del ’78, Brasile-Norvegia del ‘98. Raramente partita fu pilotata in maniera così evidente. Tutto il mondo si aspettava un 2-2 e 2-2 è stato, senza troppi scrupoli; anzi: inizio ritardato di due minuti rispetto a Italia–Bulgaria per poter avere eventualmente il tempo di rimettere le cose a posto; un portiere, quello danese (tra i migliori fin qui visti), che non ha bloccato un solo pallone per l’intera partita. Si limitava a respinte brevi con palla nel mucchio a centro area. Fin quando, all’89esimo minuto, non ha trovato qualche avversario che l’ha buttata dentro; inoltre la successione dei gol, esemplare per poter avere entrambe le squadre sempre in pugno la qualificazione.
Lo scempio più grande comunque non è tanto il fatto in sé, antisportivo ma in fondo comprensibile, quanto le accuse che svedesi e danesi hanno lanciato per tutti e quattro i giorni precedenti il match verso gli italiani che sollevavano qualche sospetto. Come se il nostro fosse un popolo di truffatori (e sarà anche vero) e i santi risiedono invece tutti là, tra l’Ikea e la Sirenetta (e questo non è vero). Un risultato, quello di Oporto, che altera la disamina della nostra eliminazione, ma solo lievemente; sarebbe patetico aggrapparsi a quel 2-2 per spiegare e giustificare il nostro prematuro ritorno a casa perché le basi di quel risultato le ha gettate l’Italia stessa contro Danimarca e Svezia.
I motivi sono altri. Forse la sopravvalutazione di alcuni nostri giocatori. O il loro scarso stato di forma. È ovvio e per nulla sorprendente che se si affida il ruolo di leadership della squadra a giocatori che hanno giocato un campionato mediocre o scarso (Vieri e Del Piero), se si affida la maglia da titolare a gente che ha avuto una stagione ridicola (Zanetti e Camoranesi), non ci si può aspettare che questi improvvisamente si trasformino in fenomeni.
Per non parlare delle esclusioni eccellenti. Dalla lista dei convocati (Baggio e Gilardino), dalla formazione iniziale titolare (Cassano, Gattuso, Pirlo), dagli ultimi minuti contro la Svezia (Cassano, Gattuso). Credo siano questi i motivi principali della disfatta. Motivi tecnici.
Poi, certo, una Federazione vecchia, stantia, noiosa e annoiata; gestita da uomini che non hanno mai giocato a calcio e che hanno come unico obiettivo quello di scambiarsi le poltrone che contano.
Infine il clima di scarsa serenità imposto dai giocatori stessi a questo mese di ritiro. La minaccia di silenzio stampa lanciata da Cannavaro, l’elogio sperticato di Trapattoni a Totti e il conseguente risentimento di Del Piero, le accuse di Fiore agli oriundi sapendo che c’è un oriundo in squadra, le proteste di Gattuso, lo sputo di Totti, la violenza verbale di Vieri nei confronti dei giornalisti, e chi più ne ha più ne metta.
In conclusione non c’erano proprio i presupposti, forse, per vincere questo Europeo. Del resto non è che ci fossimo qualificati passeggiando. Ci siamo qualificati con l’acqua alla gola contro squadre ridicole soltanto grazie all’exploit di Inzaghi realizzatore di 6 gol nelle ultime tre partite del girone.
L’unico presupposto si chiamava Cassano. L’ingenuità pura del suo giocare al calcio e le sue lacrime finali colme di sincerità sono stati gli unici ricordi puliti di questo Europeo azzurro.

 

ITALIA - BULGARIA 2 - 1

L'AZZURRO: MARCO MATERAZZI

 

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