19/6/2002

diario mondiale

di Francesco Bianco

Trascorrere la giornata senza accendere il televisore è stato abbastanza strano. Oggi ho tenuto i pensieri il più possibile lontani dal mondiale, dai veleni dell' eliminazione di ieri. Non è stato facile, invero. Era sufficiente entrare in un bar o in un negozio o in un qualsiasi luogo dove fosse accesa una radio, per udire gli echi di una unisona rivolta verbale contro gli arbitri, contro la FIFA, contro Trapattoni e chissà chi altro.
Neppure vagabondare per la città in automobile è servito come rifugio: fra una canzonetta e l' altra l' autoradio gracchiava l' insoddisfazione del popolo, dagli speaker agli ex calciatori, dai macellai ai camionisti, dalle ragazzine metropolitane ai vecchi di paese. Avrei potuto anche prendere il metrò, ma chi mi avrebbe salvato dalle prime pagine dei quotidiani? Come avrei potuto evitare quel "LADRI" che campeggiava in intestazione al Corriere dello Sport?
Confesso di essere in difficoltà nell' interpretare una sconfitta complessa, maturata in un clima del tutto particolare e prodottasi a partire da un' infinità di microcause. Eppure, benché condivida parte della rabbia per scelte arbitrali che ci hanno danneggiato, non riesco a sentirmi vicino a un popolo di ipocriti, di smemorati e di antisportivi.
Innanzi tutto voglio credere che di errori si sia trattato, non di congiure o scelte mirate contro una federazione debole; se così fosse, del resto, qualcuno saprebbe spiegarmi perché il Senegal sta ancora lì mentre la Francia è già tornata a casa? Qualcuno che pensa che la federcalcio senegalese sia più "potente" di quella francese, magari…
Secondariamente, io credo che l' Italia sia fuori dal mondiale anche per propri demeriti, che non sono pochi.
Su quattro partite giocate ha ottenuto una sola vittoria. L' ha ottenuta contro l' Ecuador, la più debole delle non certo irresistibili avversarie che si è trovata davanti. L' ha ottenuta, guarda caso, segnando due gol nella prima mezz' ora di gara. Successivamente, se anche vi fossero stati pasticci arbitrali, sarebbero stati meno decisivi. Il nostro limite, imperdonabile se si vuole salire sul tetto del mondo, è stato di non saper essere nettamente superiori rispetto ad avversari mediocri o poco più. Insidiosi, se si vuole, ma non seriamente candidati per il titolo.
E basta col ricordare il mundial dell' 82, con quel celebre inizio stentato: si tratta certamente di un caso, non di una incomprensibile strategia bearzottiana. Ne avremmo fatto, anche allora, volentieri a meno.
L' Italia non ha mai entusiasmato. Contro l' Ecuador ha gestito molto bene il vantaggio ben costruito. Ha fatto il suo dovere, lo ha fatto nel migliore dei modi. Senza strafare. Le altre partite, onestamente, le ha giocate male, al di là dei gol annullati. E' stata mediocre a centrocampo, con un Doni poco adatto alla fascia sinistra e una sfilza di incontristi senza eccelse qualità tecniche (Tommasi, Zanetti, Gattuso, Di Livio). Che Di Biagio fosse l' unico uomo d' ordine era una spia allarmante. Il suo infortunio, poi, ha lasciato un vuoto che nessuno dei convocati avrebbe potuto colmare.
Il rebus delle fasce, poi: zone del campo in cui l' Italia manca di fuoriclasse da diverso tempo: da Donadoni, per l' esattezza. Zambrotta e Coco, lo dico da diverso tempo, sono onesti operai specializzati; niente, al confronto di Overmars, Beckam, Figo, Roberto Carlos, Cafu, Candela, Lizarazu, tanto per citarne alcuni. I nostri onestissimi operai non hanno affatto sfigurato: Zambrotta è stato fra i più continui (contro l' Ecuador il migliore degli azzurri); la prestazione di Coco contro la Corea è stata ammirevole ed eroica (ha giocato per tutto il secondo tempo con una vistosissima fasciatura alla testa). Il cuore, tuttavia, non basta.
Due uomini chiave non convocati avrebbero potuto dare al centrocampo quella qualità che è mancata: Corini e Asta. Mi viene in mente anche Di Canio, che meriterebbe un discorso a parte.
Ha sbagliato molto anche la difesa: Materazzi contro la Croazia, un po' tutti in certe occasioni contro il Messico, Panucci e Maldini nelle azioni dei gol coreani. Maldini era acciaccato e reduce da una stagione sfortunata; Nesta (neppure lui aveva giocato un gran campionato) si è infortunato durante i mondiali; Cannavaro, contro la Corea, era squalificato. Panucci, in grandissima forma, ha steccato clamorosamente. I rincalzi (Materazzi e Iuliano), spiace dirlo, non sono all' altezza dei titolari.
L' Italia non ha mai saputo imporre il proprio gioco; non poteva farlo, con un centrocampo di incontristiti, e in questo sta un errore fondamentale di Trapattoni: la sostituzione di Del Piero con Gattuso. Di fatto i coreani hanno ripreso coraggio, aumentando la pressione e ritrovando in tale occasione il ritmo della partita abilmente soppresso dai nostri guastatori. Del Piero stava deludendo, è vero, ma lo si sarebbe potuto sostituire con Montella, lasciando inalterato il quadro tattico (l' Italia non stava soffrendo), o (per volersi proteggere un po') con Delvecchio. Col solo Totti ale spalle, Vieri si è esaurito nell' inutile corsa su tutto il fronte d' attacco.
Abbiamo rinunciato a giocare, a cercare il secondo gol (Totti ha fallito la conclusione dopo un bellissimo slalom solitario), e siamo stati puniti.
Da qui, dall' autocritica, deve partire la cotruzione del futuro azzurro; i problemi ci sono e non è un caso che il mondiale più sfortunato e fallimentare degli ultimi sette (eliminati agli ottavi come in Messico, nel 1986; allora avevamo perso contro la Francia di Platini) giunga nel periodo più buio delle italiane nelle coppe europee. In Europa, ormai, dominano Spagna (Real Madrid, Barcellona, Deportivo La Coruna, Valencia), Inghilterra (Manchester Utd, Liverpool, Arsenal), Germania (Bayern Monaco, Bayer Leverkusen, Borussia Dortmund). Non sarà un caso che queste tre nazionali (la Germania, a dire il vero, era data per spacciata alla vigilia) siano ancora dentro la competizione.
Negli anni fra il Milan di Sacchi e la prima Juventus di Lippi le italiane hanno dominato in Europa. Napoli, Milan, Inter, Juventus, Parma, Sampdoria hanno ottenuto brillanti risultati in tutte e tre le competizioni europee. Nons sarà un caso che in quegli anni, fra il 90 e il 94, l' Italia abbia ottenuto (non senza buone dosi di fortuna) un terzo e un secondo posto ai mondiali.
Contavamo di più politicamente? Sarà vero. Ma avevamo anche il campionato più bello e difficile del mondo: il Milan di Sacchi e quello di Capello, il Parma di Scala (quello della finale di Coppa delle Coppe contro l' Anversa), la Samp di Boskov (quella di Vialli e Mancini) sono state le espressioni più belle e fulgide del calcio continentale. Senza dimenticare Roma e Fiorentina, finaliste UEFA contro Inter e Juventus.
Il campionato italiano, una volta mèta dei più grandi fuoriclasse, deve ora dividersi il meglio con Liga e Premiership inglese. Qualcosa arriva pure in Bundesliga e nei più ricchi club turchi o greci. Un tempo, altezzosamente ma non senza un fondo di ragione, chiamavamo "scarti" del campionato italiano i calciatori stranieri che ritornavano in patria o (dopo anni di onorata o meno militanza nelle squadre del bel paese) tentavano altre avventure. A sostegno della nostra tesi avevamo bacheche traboccanti di trofei.
Oggi quesgli stessi trofei faticano a brillare per la polvere che vi si è posata sopra. Chiameremmo "scarti" Roberto Carlos (ex Inter), Veron (ex Lazio), Zidane, Henry (ex Juventus)? Qualcuno lo fa ancora, attingendo al profondo pozzo dell' ignoranza e dei luoghi comuni. E l' Italia esce dai mondiali, e tutti gridano allo scandalo, e alla fucilazione degli arbitri. Indegni. Ladri.


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