Il plotone d'esecuzione è pronto.
E' schierato al centro del campo. Lo stadio è stracolmo di spettatori. Il
plotone è composto da giornalisti, da opinionisti televisivi e radiofonici, da
dirigenti. Ci sono tutti. Di fronte a nove metri e quindici, un solo omino,
ancor più piccolo rapportato alla grandezza dello stadio. Non può parlare, può
solo fischiare con l'arma per la quale è stato condannato a morte: il
fischietto, simbolo di un effimero potere che gli è stato conferito da chi ora
lo vuole fucilare. E' solo, indifeso, sperduto.
Mentre attende il fuoco dei giustizieri rivede il film delle sue colpe. "Non ho
fischiato quel fallo, non ho visto quel fuori gioco, se li avessi visti e li
avessi fischiati non sarei qui o forse no,sarebbe solo cambiato il plotone di
esecuzione con fucilieri dell'altra parte, sarei in ogni modo un arbitro morto".
"Vorrei almeno dettare le mie ultime volontà: vorrei che uno, uno qualunque dei
miei esecutori provasse a dirigere una partita, convinto di essere scevro da
errori, sapendo che poi a qualsiasi risultato ottenuto l'ordalia ti
condannerebbe alla gogna".
"Mi piacerebbe lasciare scritto nel mio testamento che non sono una moviola, che
non dispongo di venti telecamere, che decido da solo con soli due occhi e due
bandierine che mi aiutano (talvolta), ed in un decimo di secondo. Non ho a
disposizione il moviolista che rallenta l'azione, che torna indietro, che la
velocizza, che la ferma commentando con tutto comodo e comunque con tanti se.
Non è una bella vita!"
"Se sei giovane, per non morire, dovresti aspettare di fare esperienza, ma se
non arbitri dove la fai? E poi, perché, visto che mi volete fucilare dovrei
andare a fare esperienza dirigendo le cosiddette squadre di seconda fascia che
hanno già per conto loro problemi esistenziali".
Non ho risposte.
FATE FUOCO E…AVANTI UN ALTRO.
Luciano Comaschi