Che peccato.
Ci siamo giocati la nazionale.
Chi è convocato non ritiene più che la nazionale sia la sublimazione di una carriera, ma una noia, un sacrificio, una pratica da evadere.
Che peccato, dovere generalizzare, coinvolgere anche chi in nazionale ci va anche a piedi, orgogliosi di esserci, tirando la carriola, e assumendosi tutte le responsabilità del caso ed anche eventuali brutte figure, le quali valorizzerebbero senza nessun merito gli assenti.
E che dire delle società che proteggono i loro “gioielli” coccolandoli e blindandoli con scudi ovattati e con referti medici compiacenti a vantaggio d’interessi privati ed economici.
Chi mistifica, rifiutando la maglia azzurra, non dovrebbe essere escluso per una volta, ma per sempre, da ogni competizione che riguarda la nazionale, non ritenendolo degno di rappresentare l’Italia.
Un’Italia che non è amata dai giornalisti ipercritici sulle scelte del selezionatore.
Ognuno di loro vorrebbe portare avanti il discorso che fa durante il campionato ove quasi sempre i migliori sono i “nostri” e i peggiori naturalmente sono “gli altri”.
Salvandosi sempre dopo con: “lo avevamo detto”.
Comunque sia andata.
Che peccato.
Non rimane a noi che amiamo la nazionale di ricordare quando ancora un po’ retoricamente si diceva e si scriveva “il vessillo dell’Italia garrisce nel cielo azzurro del mondo” e ci credevamo, gridando dagli spalti ITALIA ITALIA!
Che peccato sembra una favola e forse lo è.
Che peccato.

LUCIANO COMASCHI