11 NOVEMBRE 2007

L’UCCISIONE DI GABRIELE SANDRI UNA GIORNATA BUIA DELLA REPUBBLICA

L’11 novembre 2007 l’Italia vive una delle pagine più nere della sua recente storia; poco dopo le nove del mattino, lungo l’Autostrada del Sole, il ventiseienne Gabriele Sandri viene ucciso da un colpo d’arma da fuoco esploso da Luigi Spaccarotella, agente della Polizia Stradale della sezione di Arezzo. Il reato è omicidio.
Maurizio Martucci, studioso delle scienze e tecnologie della comunicazione presso l’Università degli Studi di Roma “La Sapienza”, giornalista e scrittore molto vicino all’ambiente delle tifoserie organizzate romane (soprattutto sponda laziale), partendo da questo dramma oggettivo, ha proposto una ricostruzione minuziosa di quella maledetta domenica, lucida e scevra da qualsiasi censura o condizionamento di parte, avanzando approcci sociologici per uno studio razionale e scientifico sulle dinamiche di comunicazione proposte per la luttuosa occasione all’opinione pubblica.
Proprio perché in quell’infernale domenica all’italiana, si sono altalenati errori su errori in un’impressionante serie a catena che probabilmente non ha precedenti. Un poliziotto spara ingiustamente contro una macchina in movimento all’interno di un’area di servizio dell’Autostrada del Sole ed uccide un ragazzo; il circuito nazionale della comunicazione di massa interpreta e distorce il fatto creando, in poco tempo, buchi neri, depistaggi, conclusioni affrettate, pressappochismo e cattiva gestione dell’informazione.
Come in una trasposizione surreale, la realtà viene trasferita su un piano strumentale: non è più vero ciò che è reale, ma solo quello che viene comunicato.
Dopo neanche due ore dall’omicidio gli inquirenti dispongono di un quadro d’insieme con più luci che ombre; la situazione è assolutamente definita, il caso praticamente già chiuso: un agente di polizia ha commesso un reato di omicidio con uso improprio e illegittimo di arma da fuoco. Restano solo da definire le valutazioni sul grado di responsabilità omicida, ovvero preterintenzionalità, colposità o volontarietà dell’assassinio.
A causa di quelle “distorsioni comunicative”, cui si faceva riferimento in precedenza, alle 11:49, esattamente dopo due ore e trentuno minuti dall’assassinio di Gabriele e con gli inquirenti ben consapevoli di quanto e come accaduto, l’ANSA, la prima Agenzia di Stampa in Italia per completezza e professionalità (ben 22 sedi di corrispondenza regionale per un monitoraggio certosino del territorio nazionale 24 ore su 24) batte il seguente lancio di agenzia: TAFFERUGLI TRA TIFOSI IN AREA DI SERVIZIO: UN MORTO.
“Una persona è morta dopo uno scontro tra tifosi in un’area di servizio lungo l’A1, nel territorio di Arezzo: Secondo le prime informazioni la vittima sarebbe un tifoso laziale: Non è ancora chiara la dinamica di quanto accaduto e le responsabilità sulla morte del tifoso: Sembra secondo quanto emerso la vittima sarebbe stata raggiunta da un colpo di pistola. Tutto è avvenuto nell’area di servizio Badia al Pino dove si sarebbero scontrati tifosi della Lazio e della Juventus. Sul posto è intervenuta la polizia.”
Per un nesso logico di casualità, questo primo lancio d’agenzia stampa, lega il delitto direttamente al “pianeta calcio”, ovvero inserisce la tragedia dell’A1 in una specifica categoria come quella della violenza calcistica più cieca, riconducibile all’anima più cruenta delle curve degli stadi italiani.
Un simile lancio di agenzia, come quello ANSA delle 11:49, non fa altro che immettere prepotentemente nel circuito dei mezzi di comunicazione di massa, la notizia della morte di un tifoso rendendo di dominio pubblico un reato che per due ore e trentuno minuti è rimasto ad esclusivo appannaggio degli inquirenti e di una ristretta cerchia di parenti ed amici delle vittima. La notizia, così come viene proposta, seppur con i suoi “non è ancora chiara la dinamica di quanto accaduto e le responsabilità sulla morte del tifoso”, contiene distinti codici di influenza ed influenzabilità sociale: si parla di tifo violento, da anni tema di dibattiti e tavole rotonde nell’”agorà mediatica”; uno stereotipo di forte eco su cui è forgiata l’opinione pubblica a conoscenza delle pericolosità dell’argomento. La notizia, così comunicata, nell’immaginario collettivo si incasella direttamente lungo la scia quasi trentennale di sangue e morte registrata dentro e fuori gli stadi italiani: Paparelli, Fonghessi, Filippini, De Falchi,Moschella, Spagnolo, Currò.
Eppure, per chiarissima conoscenza degli inquirenti “in bambola”, la morte di Gabriele non ha nulla a che spartire con tutto ciò. Anzitutto perché non è vero che la vittima è stata uccisa da un colpo di pistola sparato da un tifoso avversario ma, soprattutto, perché non è vero che Gabriele ha perso la vita a causa dei tafferugli scoppiati in un’area di servizio sull’A1 tra i tifosi della Juve e quelli della Lazio. Con tali precisazioni si sposta di 180° il cuore della notizia.
Gabriele, infatti, è stato ucciso a bordo di un’auto in transito nell’area di servizio dopo essere stato colpito da una distanza di 66 metri da un proiettile calibro 9 sparato da un agente di Polizia; l’omicidio non è riconducibile al mondo del calcio, tanto meno a quello delle frange più violente del tifo organizzato; la rissa era terminata quando è stato esploso il colpo mortale; i protagonisti avevano abbandonato il luogo del contendere; l’agente, per sua stessa ammissione, ha sparato senza conoscere il movente della lite; relazionare lo sparo e la morte di Gabriele ai tafferugli scoppiati pochi minuti prima davanti all’autogrill, equivale alla legittimazione, ipso facto, dell’uso dell’arma da fuoco da parte della Polizia come strumento di ripristino dell’ordine pubblico, alla stregua di un lacrimogeno, di uno sfollagente o dell’azionamento di una sirena acustica.
Impossibile, impensabile, illegittimo!
Soprattutto per quanto da lì a poco avverrà. Man mano che la verità, giocoforza, comincia ad emergere (comunicato ANSA delle 12,23 con il quale si afferma che “nelle vicinanze degli scontri un agente avrebbe sparato un colpo in aria”) lo scenario vive un “rimescolamento delle carte”. Inizia a farsi strada l’idea del “dubbio”, dell’”equivoco depistante”. Tornano prepotentemente alla ribalta i “sottocodici interpretativi soggettivi”; l’elemento chiave in termini di notiziabilità della morte di Sandri, cioè che un agente della Polizia durante una rissa tra tifosi ha “sparato un colpo in aria”, nel contesto interpretativo della sottocultura ultras inserisce la notizia di una precisa categoria storica: lutti e drammi umani seguiti agli scontri tra forze dell’ordine e popolo che anima le curve degli stadi italiani.
Parallelamente ai mass media corrono nell’etere frenetiche telefonate tra le istituzioni governative e quelle calcistiche: l’Italia è in finestra. Il popolo “pallonaro” si aspetta il giusto blocco del campionato per riflettere e commemorare.Se per la morte dell’ispettore Raciti il campionato si è fermato, per proprietà transitiva, lo stesso avverrà se a rimetterci la vita è un tifoso.
Certezze vane. Perché da parte di tutti i rappresentanti del Governo Prodi, con il Ministro Melandri (Politiche Sociali e Attività Sportive) in prima fila c’è (adesso sì) la volontà spudorata di disgiungere la morte di un cittadino da quello di un tifoso appartenente ad una squadra di calcio e dunque legato ad esso. Non c’è più materia, improvvisamente, per parlare di episodio legato alla violenza negli stadi e, di conseguenza, che senso ha fermare l’intero campionato se a morire è solo un cittadino comune per vicende “ancora da chiarire” ma disgiunte da una rissa ultras?
Non si capisce più nulla, l’Italia intera, mediatica o reale che sia, è attraversata da un’onda anomala di improvvisa emergenza sociale; fattore che impone l’intervento deciso ed immediato dei vertici istituzionali che siano in grado di “governare” la crisi e gestire l’evoluzione di una domenica di follia che rischia di degenerare ancora di più. Ma l’impasse è ormai dietro l’angolo. Ogni parola nasconde una bugia, i “se” e i “ma” prendono il sopravvento, ai giornalisti viene vietato di fare domande. Siamo di fronte ad una “comunicazione univoca” in cui si afferma che l’assassino  non risulta indagato ma è ascoltato dagli inquirenti esclusivamente come persona informata sui fatti. Addirittura alle 17:00 la “favola” narrata è quella che “non è ancora certo se il colpo che ha ucciso Gabriele sia stato effettivamente sparato dall’agente Spaccarotella che ha comunque sparato due colpi in aria sul luogo teatro della tragedia”.
Ma ci sono troppi interrogativi, troppi conti che non tornano, sia nella ricostruzione ipotizzata, sia nelle modalità di gestione delle attività di comunicazione ed informazione. Non compare il Ministro Amato che “sfugge” un evento di portata globale più che nazionale, si cerca con troppa fermezza ora di sganciare la tragedia dal contesto delle tifoserie ultras proprio mentre focolai di rivolta verso le forze dell’ordine cominciano a far traballare il sistema-stato. E dove erano le fonti ufficiali ed istituzionali dello Stato prima che la notizia dell’assassinio di Gabriele venisse erroneamente interpretata dall’ANSA associando lo sparo alle violenze degli ultras? Perché il Questore di Arezzo Vincenzo Giacobbe ha affermato che i colpi di pistola esplosi dall’agente erano entrambi “in aria” mentre Gabriele è stato ucciso con un colpo esploso ad altezza d’uomo? Perché ci si ostina a non legare gli spari dell’agente alla morte di Gabriele? Perché la Procura di Arezzo, anche nel tentativo di placare i legittimi ribelli animi tarda ad iscrivere l’agente nel registro degli indagati? Che cosa si sta cercando di nascondere all’opinione pubblica? E soprattutto perché?
Ma l’ipotesi che si va facendo strada, quella del “tragico incidente” non regge… i bossoli non vanno in alto e ricadendo si conficcano nel collo di un malcapitato. La miccia è accesa; dolore rabbia e incredulità, tutta l’Italia non sopporta questo gioco delle parti e la deflagrazione non tarda ad arrivare culminando con i violenti scontri nei pressi dello Stadio Olimpico dove dovrebbe andare di scena l’ultima “commedia” di questa giornata spettrale e teatrale: il posticipo Roma-Cagliari.
Le immagini dei violenti assalti ai Commissariati di Polizia e alle Caserme dei Carabinieri affollano i telegiornali serali; è notte ormai ma non è ancora troppo tardi per continuare a meditare e riflettere. Una domenica che non sarà facilmente scordata e che passerà alla storia per la triste cronaca, per la lunghissima interminabile catena di errori, per l’emergenza sociale e le profonde lacerazioni che l’hanno così nettamente segnata.

Per una generazione intera Gabriele Sandri è involontariamente diventato una bandiera da garrire al vento, un’icona di libertà, allegoria di un urlo straziante che grida giustizia. Per come è morto ma anche e soprattutto per come si è voluta gestire la comunicazione della sua morte. Un manifesto contro l’ingiustizia per la garanzia del diritto e l’affermazione della dignità umana.

Antonio Mastrobuono